Mass medium o “mezzo di comunicazione di massa” è un concetto che al giorno d’oggi sta acquistando sempre più valore nella vita quotidiana, tanto da aver indotto alcuni studiosi a ritenere che lo specifico mezzo adottato, possa avere un’influenza particolare rispetto al modo di pensare di chi lo usa (McLuhan, 1967).
Dalle prime modalità orali di trasmissione della cultura fino alle avanzatissime metodologie elettroniche che vedono in Internet, se non l’apice, probabilmente una meta particolarmente ambita da anni, sono trascorsi oltre sei millenni : stampa, radio, telefono, televisione e tutti gli altri mass media si sono susseguiti periodicamente per facilitare la trasmissione delle informazioni da un paese all’altro, da una persona all’altra e ognuno di questi mezzi ha sempre inciso nella cultura del periodo in modo spesso determinante.
Basti pensare all’uso che è stato fatto della maggior parte di essi in tempo di guerra per comprenderne il valore politico, o all’utilizzo commerciale su larga scala per determinarne il peso sociale, o ancora al significato metaforico per individuarne l’importanza legata ad esso in senso socio-antropologico.
La distinzione secondo un costrutto quasi classistico che fa Umberto Eco tra apocalittici e integrati, è prova di come, rispetto ai secoli precedenti, nella nostra epoca, l’uomo non abbia mutato modo di pensare in conformità al trascorrere del tempo e all’acquisizione di nuove esperienze.
Secondo Eco infatti, fin dalla creazione della scrittura, primo mezzo di comunicazione, l’uomo ha sempre avuto modo di dividersi in due scuole di pensiero rispetto all’accettazione o meno di una nuova forma di comunicazione : gli apocalittici e gli integrati per l’appunto.. Gli apocalittici sono coloro che vedono il medium rivoluzionario come qualcosa di pericoloso ed incombente sull’incolumità della società in modo potenzialmente catastrofico; contrariamente gli integrati, risultano essere particolarmente benevoli nei confronti del “nuovo” e si adattano facilmente sfruttando appieno le risorse che da esso derivano. Un esempio calzante, in particolare per la prima posizione, potrebbe essere il fatto che quella che nei primi anni di trasmissioni radio venne definita la febbre della radio, non è poi del tutto dissimile come concetto a ciò che oggi coincide con l’Internet Addiction; una particolare forma di dipendenza telematica che colpisce chi riesce a stare collegato ad Internet per oltre 40 ore settimanali (Siracusano, Peccarisi, 1997).
Entrambe le posizioni, secondo Postman, sono estremiste e non rendono fede ad una visione oggettiva del fenomeno ; per cui esso può essere considerato integrando entrambi i punti di vista. Una visione dicotomica in questo senso non rende fede a quello che, in termini pratici, esso comporta ogni tecnologia è al tempo stesso un danno e una benedizione ; non è l’una cosa o l’altra, è l’una cosa e l’altra.
Come zelanti profeti con un occhio solo, sia gli apocalittici che gli integrati si limitano gli orizzonti e diffondono nella società una confusione di fondo rendendo incerta l’ascesa del nuovo medium, secondo un regolare processo di assimilazione basato sul semplice e incondizionato interesse.
Uno dei pericoli più temuti in riferimento all’allargamento del raggio d’azione del medium, è quello della massificazione e della possibilità che si crei un’uniformità di pensiero attraverso un uso strategicamente politico o commerciale dello stesso.
Con la diffusione della stampa e della radio si sono avute le prime forme di pubblicità che, per quanto attualmente possa essere definita come una nuova forma d’arte, ha contribuito effettivamente a fornire all’utente un dato standard di riferimento che lo assimilasse a tutti gli altri inducendo una sorta di livellamento culturale (Losito, 1994).
La posizione occupata dalla pubblicità in ambito sociale e rispetto alla teoretica dei mass media, è molto particolare, infatti essa, secondo Losito, assume fin dagli inizi un ruolo determinante sia come modalità specifica di comunicazione e come “genere” tendenzialmente autonomo, sia come parte integrante dell’offerta mediale, sia, ancora, come sostegno economico dei media che utilizza come veicoli.
Sembra quindi tutto strettamente legato ad una dinamica di forze e accadimenti sociali inevitabilmente connessi al progresso in ambito mediale.
Sul “rischio” della massificazione che si profila ci si è pronunciati in conformità ad un approccio comportamentista, sulla base dello schema di condizionamento stimolo-risposta, e psicoanalitico in riferimento a teorie motivazionali che vedono dietro la scelta del prodotto da parte dell’utente, ampie ricerche atte a cogliere il desiderio inconscio in termini simbolici e a promuovere la diffusione di elaborate strategie di persuasione.
Insomma, l’idea di George Orwell in “1984”, di una società tenuta sotto ossessivo ma “adorabile” controllo attraverso una tecnologia informativa relativamente sofisticata rispetto al punto cui poi è effettivamente arrivato il progresso scientifico nella nostra epoca, seppure possa sembrare paradossale rimane comunque un’idea non del tutto inconfutabile.
Allo stesso tempo però, sostiene Postman, non si può negare il fatto che l’avvento dei media elettronici, ossia di quei mezzi che hanno permesso una simultaneità dell’informazione in un raggio d’azione molto più ampio rispetto a quello che poteva avere la tradizione orale o chirografica, abbia sostanzialmente rivoluzionato il modo di concepire l’atto stesso del comunicare qualcosa.
Il concetto di comunicazione che fino a poco prima dell’invenzione del telegrafo, poteva avere un significato prevalentemente geografico, inizia a mutare con il progresso in campo tecnologico, nel senso di movimento di informazioni.
La radio ha iniziato l’uomo a quella che con l’andar del tempo è divenuta una necessità, ossia la possibilità di starsene da solo e contemporaneamente di sapere quello che succede nel resto del mondo.
La dimensione gruppale resa dalla comunicazione attraverso la chirografia e la stampa, o ancora prima attraverso la memoria, assume significato ben più ampio nel momento in cui viene proposta l’installazione di un apparecchio radio in ogni famiglia.
Il vecchio focolare domestico inizia a perdere la sua funzione di medium familiare per lasciare il posto ad un “aggeggio” che ha poco di termico, ma ha il potere di rendere chi lo usa “parente del mondo”.
I moderni mass media si sono susseguiti con intervalli di tempo molto più ristretti di quanto si fosse immaginato, rispetto all’attesa durata circa cinque millenni che ha sancito il passaggio dalla chirografia alla stampa e l’avvento della televisione si può dire che concluda il concetto che da Ong viene definito di oralità secondaria.
L’idea di Ong fa riferimento al fatto che, analogamente al periodo in cui la trasmissione orale risultava il medium principale, se non il solo, per la divulgazione dell’informazione, con i nuovi media si è tornati ad impostare l’idea di comunicazione in modo meno isolante e che inducesse nell’utente un maggior senso di appartenenza alla comunità del mondo.
Differentemente dal primo tipo di oralità, propria di Omero e dei suoi discendenti, l’oralità secondaria si manifesta particolarmente legata al concetto di parola scritta in quanto basa su di essa il proprio patrimonio culturale-informativo concernente tutto quell’insieme di regole e applicazioni necessarie all’uso dei nuovi strumenti di uso comune.
Manuali d’uso, libretti d’istruzioni, compendi per la manutenzione, sono strumenti di minor rilievo, ma essenziali all’uomo per la partecipazione alle nuove forme di comunicazione ; ciò accresce il senso di consapevolezza di certi limiti, ma facendo riferimento ad un mezzo che finisce poi per l’unificare gli utenti ad una grande massa mediatica.
A qualcosa di simile si riferisce probabilmente McLuhan quando parla di villaggio globale.
Il fatto poi che dalla radio si sia passati alla televisione e da questa in seguito ad Internet, è testimonianza di una progressiva capillarizzazione dei media e quindi di una sempre maggiore esigenza di rendere l’informazione alla portata di tutti.
Come sostiene Meyrowitz, l’essere a parte di avvenimenti e di dinamiche politiche, sociali ed economiche induce nell’uomo l’opportunità di crearsi un’opinione su argomenti che fino a qualche tempo fa non pensava lo riguardassero direttamente.
Se questo significa democratizzare non è escluso che significhi anche investire e produrre nell’utente una sorta di indigestione di “materiale informativo” che potrebbe in fin dei conti sortire un effetto contrario provocando una diminuzione dell’attenzione.
Queste osservazioni sono il risultato di una ricerca svolta da alcuni psicologi inglesi che hanno rilevato un calo della soglia di attenzione necessaria all’elaborazione critica dell’informazione in seguito all’aumento delle notizie fornite (Lewis, 1997).
David Lewis, uno dei promotori della ricerca, ha definito questa come una sindrome da affaticamento informativo, riscontrando in essa sintomi fisici quali : problemi digestivi e cardiaci, ipertensione, disturbi del sonno, disturbi sessuali; e a livello psicologico: forte irritabilità, diminuzione della concentrazione, del tono dell’umore e della motivazione in genere.
Lo studio è stato condotto su un campione di 1300 manager da cinque paesi diversi (USA, Gran Bretagna, Australia, Hong Kong, Singapore) ed un terzo degli intervistati ha dichiarato esplicitamente di avere problemi di stress connessi ad un eccessiva dose di informazioni, oltre i due terzi ha evidenziato difficoltà nella vita relazionale ed il 43% ha evidenziato difficoltà nel prendere decisioni.
D’altra parte Derrick de Kerckhove, allievo ed erede più eminente del pensiero di Marshall McLuhan, rimane attaccato alla concezione per cui il cervello umano è in grado di andare ben oltre queste possibilità e il padroneggiare una grande quantità di dati è attività costante di esso e caratteristica principale.
Il pensiero di de Kerckhove ad ogni modo sembra riferito maggiormente ad un’idea di ricezione e impiego attivi e comunque volontari, da parte degli utenti, della grande massa di informazioni che viene proposta ; la ricerca di Lewis, seppur indirizzata, come detto, ad un campione molto ampio, è basata sulle testimonianze di soggetti facenti parte del settore manageriale e quindi necessariamente sottoposti ad un sovraccarico informativo.
Rimanendo sul punto di vista di de Kerckhove, le moderne tecnologie altamente interattive rendono i processi di utilizzo dei media molto simili alle modalità di funzionamento proprie della nostra mente e ciò che piuttosto va preso in considerazione rispetto agli effetti che può avere l’iperinformazione, è un processo unificativo e democratizzante cui si sta andando incontro proprio attraverso la divulgazione dell’informazione, ora non solo accessibile, ma anche rafforzabile da tutti in quanto c’è sempre più libero accesso partecipativo ad essa.
In questo senso l’idea anticipatoria di McLuhan di una mutazione del tessuto sociale, politico e relazionale in senso unificante, grazie ad un raggiungimento di alti livelli tecnologici che permettano il superamento delle comuni barriere in modo relativamente pratico, sembra trovare conferma con l’avvento dei nuovi media elettronici.
L’atmosfera essenzialmente familiare creata dal mass medium, la capacità che questo ha di far sentire l’individuo membro di un grande gruppo, pur trovandosi in una parte del mondo particolarmente isolata ad esempio, sembra coinvolgere inevitabilmente anche chi non fa di esso un uso diretto.
Se è vero infatti che per usufruire del nuovo strumento è necessaria non solo una certa preparazione tecnica, ma anche e soprattutto una disponibilità economica che costantemente permetta aggiornamenti, revisioni o, nel “peggiore” dei casi, vere e proprie rivoluzioni radicali, non accessibili a tutti a causa dei costi elevati caratteristici di un prodotto “giovane”, è anche vero che i media si pubblicizzano e si diffondono reciprocamente.
Per cui la conoscenza che si fa di Internet, ad esempio, attraverso la televisione o la radio, contribuisce, seppure creando confusione e luoghi comuni, ad alimentare fantasie, illusioni e aspettative che generano un senso di inclusione e coinvolgimento generale.
La prospettiva che ci viene costantemente posta davanti di una società governata elettronicamente, in cui s’infrange ogni tipo di barriera che sia spaziale, temporale, linguistica o fondamentalmente materiale, sembra trovare con i nuovi media primario argomento d’informazione-comunicazione e d’altra parte la velocità con cui essi vengono inventati e prodotti e il corrispondente successo con cui si diffondono, lascia presupporre che tale argomento risulti essere un effettivo bisogno cui l’uomo non può ormai più fare a meno, essendo entrato in un circolo che lo vede gestore della sua vita relazionale e informazionale attraverso un computer.
Bibliografia
de Kerckhove, D., (intervista con), (1996), Scazzola, A., Ve lo posso garantire io, in Internet non ci si perde, Telema, 4, 42-45.
Eco, U., (1964), Apocalittici e integrati, Bompiani, Milano, 1994.
Lewis, D., (1997), Information Overload.
Losito, G., (1994), Il potere dei media, La Nuova Italia, Roma.
McLuhan, M., (1964), Gli strumenti del comunicare, Garzanti, Milano, 1967.
McLuhan, M., (1967), Il medium è il massaggio, Feltrinelli, Milano, 1968.
Meyrowitz, J., (1985), Oltre il senso del luogo. L’impatto dei media elettronici sul comportamento sociale, Baskerville, Bologna, 1993.
Monteleone, F., (1992), Storia della radio e della televisione in Italia, Marsilio, Venezia.
Ong, W. J., (1982), Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna, 1986.
Orwell, G., (1948), 1984, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1989.
Postman, N., (1992), Technopoly. La resa della cultura
alla tecnologia, Bollati Boringhieri, Torino, 1993.
Siracusano, A., Peccarisi, C., (1997), Internet Addiction Disorder : note critiche, Bollettino di aggiornamento in Neuropsicofarmacologia, 62, 1-3.
Attilio de Angelis
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